Torino, Pavese, il disamore e io.

Poesie del disamore. Cesare Pavese
Einaudi. La mia copia.
A primavera sono stata a Torino, ero lì per il Salone, ma appena uscita dalla stazione sono andata a fare un giro in centro e in una bancarella ho comprato le Poesie del disamore di Cesare Pavese, in un'edizione Einaudi degli anni '70. 
Se a Torino incontri Pavese o Primo Levi o Natalia Ginzburg, non te li lasci scappare.
Ho pagato tre euro questo libretto che quanto a carta ne varrà di meno, ma nel contenuto non ha prezzo. Poche lire per delle poesie immortali. Dovremmo pensarci ogni volta che compriamo un libro.
Insomma, ho infilato in borsa il mio nuovo Pavese e via verso il Lingotto. Mesi dopo l'ho riaperto, l'ho addirittura portato in ufficio e messo nel cassetto degli oggetti personali, quello con lo spazzolino, il dentifricio, gli elastici per i capelli, il mascara, la tazza e le bustine di tè. Passano i mesi e Pavese era lì dentro, silente. Una mattina apro il cassetto per cercare il burro di cacao e salta fuori lui, e anche il disamore.
Questo concetto del disamore non mi piace e non ci credo, dunque già essere in disaccordo con un titolo di Pavese è un bel problema. Se vogliamo chiamare qualcosa amore accettiamo che non finisca, altrimenti scegliamo un'altra parola per quella cosa bellissima e appagante, che però, ahinoi, amore non è. Il guaio è che a volte si sa proprio al momento della fine e prima ci si era illusi, forse in due, forse da soli. Leggere le Poesie del disamore è come scavare lì dove simil-amori sono finiti per ognuno di noi, farsi cogliere da quella tristezza che allora provammo, perché rendono tristi la perdita e l'abbandono. Poesie del disamore fa piangere, perché quello che Pavese chiama disamore, e che io combatto, è sempre esistito, ma lui lo descrive meglio, lui lo cala nella realtà di tutti. Ma devo dirglielo signor Pavese, il disamore proprio non esiste, perché l'amore, che credo sia privilegio di pochissimi su milioni, non sa finire, non sa cambiare, sa solo essere, e chiede tutto, non tanto, e se tutto non viene dato amore non era amore, era quella cosa bellissima e appagante per cui esistono quei molti altri nomi. Mio dolce signor Pavese, amore non va da nessuna parte e non conosce dis, amore al massimo incontra il limite dell'umanità che non sa gestirlo e lo lascia andare. Rimarrà abortita la sua esperienza, ma resterà a moncare i cuori di chi se lo è negato. Ma capita raramente che amore si riveli, talmente raramente che ci accontentiamo per lo più delle cose bellissime e appaganti cui diamo un nome sbagliato, e chi viene colpito dall'amore riconosce che è diverso e lo scopre e se poi lo lascia andare non può leggere le sue poesie, perché sarebbe costretto a cadere giù, per aver scoperto che quel disamore che lei racconta, disamore non è, è fine di altro.
Mio carissimo signor Pavese, nelle sue poesie meravigliose ho trovato un incubo, amore e unione, amore e dolore, amore e consuetudini, amore e lontananza, amore e il suo contrario: il nulla.
Non sarò certo io a scrivere un post in cui esprimo opinioni di merito su Cesare Pavese, né sarò io a dire che sono poesie che è necessario conoscere, è Cesare Pavese suvvia, che se ne fa di una blogger, dico soltanto che incontrare lui è come incontrare una parte profonda di sé, perché Pavese ci costringe a guardare nei nostri cassetti chiusi, dove ci sono cose dimenticate e dove, se appare il disamore, scopriamo che mai c'era stato l'amore. 
Sembrava però.
Sembrava così tanto, che forse mi sbaglio, forse, semplicemente, ha ragione lei signor Pavese, il disamore esiste e suona così:

"[...]Piegheremo la fronte
soli, in mezzo alla strada, in ascolto di un'eco
dentro il sangue. E quest'eco non vibrerà più.
Leveremo lo sguardo, fissando la strada."


Libro in fotografia
Titolo: Poesie del disamore
Autore: Cesare Pavese
Editore: Einaudi
Anno: 1973




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